Affronterò l'argomento (mastodontico), prendendolo, come si dice, alla lontana.
Sono sempre stato affascinato dalle parole e dal loro senso. In particolare da quella che a me piace chiamare la tautologia del dizionario o, più semplicemente, la sua circolarità. Il punto di partenza è banale (e nemmeno originale) ed è questo: la definizione di una parola, di un concetto, di un termine, richiede l'uso di parole che rimandano ad altre parole e così via. Insomma chi volesse capire "veramente" il senso di una parola con un dizionario, si ritroverebbe a fare lunghi percorsi, ma non infiniti, che lo riporterebbero, prima o poi, al punto di partenza passando anche più volte da nodi già toccati in precedenza. Percorsi complessi, soprattutto se si utilizzano più dizionari, dato che la stessa definizione non è mai del tutto identica. Ciascuno si sforza, o pretende di essere, il più chiaro, completo (e a volte conciso) possibile. Insomma è incontestabile che il linguaggio sia solo approssimativo e credo che questo sia il fondamento del perché esistano infinite filosofie, infinite disquisizioni e del perché, banalmente, il diritto e la giurisprudenza debbano ogni volta essere interpretate (soprattutto nelle sfumature, circostanze, attenuanti etc.) e ci siano sentenze diverse su casi simili. Ciò non dipende, come sostiene qualcuno, dal fatto che i giudici siano prevenuti. Sono le parole e le definizioni ad esserlo.
Da un punto di vista opposto, si usa l'espressione: "fatta la legge trovato l'inganno" perché è impossibile racchiudere le parole circoscrivendole in modo blindato e auto-consistente.
Il termine appropriato è ambiguità. Le parole sono come immagini allo specchio: paradossalmente utili ma inafferrabili nella sostanza e che deformano la realtà rovesciando destra e sinistra e prolungando la percezione all'infinito se mettiamo uno specchio di fronte all'altro esattamente come un dizionario contrapposto ad un altro. Anche ciò che sto scrivendo, ovviamente, è soggetto all'ambiguità e alla interpretazione di chi legge; a ciò che le parole evocano, al vissuto personale e alle credenze che ciascuno nel corso della vita ha assorbito. E qui sta il vero paradosso del linguaggio: si crede di comunicare qualche cosa che, a ben guardare, non appoggia che sul nulla, se non a se stesso, che resta sospeso.
Ogni "discorso" in realtà è un'eco; apparentemente si allontana dall'emittente, ma ritorna sostanzialmente e inevitabilmente alla sorgente.
Godel ha "dimostrato" che la matematica per essere consistente (cioè senza antinomie, ovvero contraddizioni) deve essere incompleta, nel senso che non può dimostrare (spiegare) tutto, e che ci sono delle "verità" che sono indimostrabili. I fatti giudiziari sono la prova lampante della effettiva esistenza di verità indimostrabili che i "furbi" e li "scaltri" perseguono. Ci sono i fatti, a volte evidenti, ma non sono dimostrabili. Ci si può arrivare alla "verità" solo per speculazione, ma questa è appunto fatta attraverso percorsi opinabili come i percorsi per risalire al significato nei dizionari. Mentre in matematica esistono degli assiomi (che non sono altro che verità non dimostrabili, ipse dixit, così è!), nel linguaggio non esistono assiomi, punti fermi, anche arbitrari, da cui partire. Il linguaggio è una bolla di sapone e altrettanto fragile.
Ovviamente tutto ciò va a nozze con le varie teologie religiose e le "spiega". Eppure il mondo funziona. Si scrivono libri, giornali, si fanno discorsi, proclami, si scrivono encicliche, manuali, si ascoltano i telegiornali, si ordina un caffè al bar, si scrivono cose su Internet, come questa.
Ovvero, il mondo funziona sì, ma attraverso antinomie, incompletezze, paradossi e infinite interpretazioni senza solide fondamenta. In realtà nessuna.
Davanti a questo scenario ci stanno i due percorsi fondamentali che ciascuno (su basi imponderabili che spaziano dalla psicanalisi alla casualità) ha deciso di intraprendere più o meno tacitamente e, forse, inconsapevolmente: la via del nichilismo e la via della religiosità. Queste strade, ovviamente, date le premesse, non sono rette, ma si intersecano e soprattutto via via si biforcano, come i sentieri di Borges. Ma il punto di partenza è unico.
La strada del nichilismo nelle sue varianti è quella che si dirama nel solipsismo, nell'edonismo, nel banditismo, nel capitalismo fine a se stesso (come ormai è) che diventa schiavismo. Niente ha valore in sé; non c'è una fine, uno scopo, tutto è riconducibile a "cose" strettamente pragmatiche, individuali, dell'oggi, anzi, del "qui e ora". È in ultima analisi la filosofia del "Chi se ne frega". Le contraddizioni non sono un problema.
La strada religiosa, oggi sempre più stretta, è quella che si appoggia su qualche straccio di ipotesi di valore. Religiosa perché basata su un nucleo di fede (qualsiasi esso sia), assiomatico, non dimostrabile come sono tutte le religioni, le scienze e le idee politiche. È un nucleo debole che a fatica resiste ai colpi del nichilismo imperante. E a volte è lo stesso nichilismo che astutamente si traveste da credo religioso, da ipotesi scientifica o da ideologia politica o economica.
Se poi il nucleo originale della religiosità, intesa nel senso sopra detto, si solidifica ne fanatismo o ideologia, cioè presunzione di credere che i propri valori siano fondati e fondanti, cioè "veri" e quindi "unici", diventando così impermeabili al dubbio, i disastri dell'integralismo, delle dittature e dei razzismi sono certi. Questo inasprimento e intolleranza conduce anche alla diaspora di molti "deboli" o "confusi", soprattutto giovani, verso il nichilismo.
Compito di ogni "lettore" dovrebbe essere quello di saper decifrare ciò a cui le parole usate e ascoltate rimandano. A ciò che sottacciono e nascondono più o meno volutamente. Lo sforzo è quello di ricondurle al nucleo che vorrebbero fondare e significare insomma al non detto che contengono ma al quale sono correlate. Impresa non facile, dato che il linguaggio prevalente attuale, soprattutto quello di Internet, si fonda su messaggi e slogan ultra-sintetici che vorrebbero dire tutto, essere auto-esplicativi, ma che per loro natura alimentano la deflagrazione semantica e, inevitabilmente, l'incomprensione e l'intolleranza.
Chi ritiene che Internet sia il luogo della nuova democrazia e il luogo in cui si possa sviluppare un "discorso serio" o è inconsapevole o è bugiardo.
febbraio 2014
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